La normalità dopo la perfezione

Com’è difficile essere normali dopo la perfezione.
I Miami Dolphins sacrificano di nuovo un coach sull’altare della competitivita, tornando punto e accapo da dove erano a fine 2011 con il traghettamento di Todd Bowles dall’era Sparano all’era Philbin.

 

Don e Dan

Shula e Marino

Inutile girarci attorno, Miami è una piazza difficile, che giocoforza confronta tutti i tecnici e tutti i quarterback con un duo con cui è veramente difficile stare al passo, ovvero Don Shula e Dan Marino. Il primo è stato l’unico Head Coach della storia della NFL moderna a portare la sua squadra alla perfect season, ad una intera annata senza macchia, fatto finora mai più ripetutosi. Shula ha “governato” le sorti di Miami per un quarto di secolo, un periodo che nella attuale lega, sembra qualcosa che va oltre l’anacronismo. Shula ha trasformato una franchigia giovane di quattro stagioni senza mai aver avuto un’annata con record positivo, in una icona di questo sport, portandola a cinque Super Bowl, dodici titoli divisionali e sedici apparizioni in post season.
Ha attraversato le stagioni di Bob Griese e di Earl Morrall e della no-name-defense, portando la squadra al mitico 1972 e cambiando stile con il cambiare dei giocatori, trasformandosi in un coach run-first per poi tornare a privilegiare il passaggio, tenendo Miami a livello di contender anche con la crescita di avversarie divisionali come i Buffalo Bills ed i New England Patriots. Se oggi i Dolphins sono tra le squadre più popolari al di fuori degli Stati Uniti, è anche (o soprattutto?) grazie alle gesta dei Dolphins di Shula.

Il secondo è ancora oggi considerato uno dei migliori, se non forse il migliore, quarterback di tutti i tempi, metro di paragone ed esempio per valanghe di signal caller venuti dopo, e detentore ancora di una dozzina di record in NFL tra cui il maggior numero di stagioni come numero di passaggi tentati e come numero di passaggi completati, ed il minor numero di gara occorsegli per arrivare a 100 TD e 200 TD.
Dan Marino ha avuto la sfortuna di trovarsi a competere, in un periodo in cui la lega non disponeva di salary cap (introdotto nel 1994), con franchige generose come i 49ers, e con avversari di Conference come i Denver Broncos ed i Buffalo Bills. Si è ritirato quattro stagioni dopo Shula, di fatto segnando la fine di una lunghissima luna di miele tra i tifosi e la franchigia.

 

La proprietà e la dirigenza

Robbie (a destra) con Shula nel 1970

Miami era indissolubilmente legata, in questo periodo, al suo “Creatore” Joe Robbie, un avvocato lobbysta del tabacco, appassionato di football e di Minnesota Vikings, che il commissioner della AFC Joe Foss spinse ad aprire una franchigia di espansione nella Florida.
Robbie è considerato il padre dei Dolphins, e ne ha detenuto le quote di maggioranza fino alla morte, contribuendo alla franchigia anche grazie alla costruzione dell’attuale Sun Life Stadium.
Robbie, Shula, Marino. Tre miti per la Miami “footballara”. Alla morte del suò papà, la proprietà rimase alla famiglia che se ne liberò poco dopo non volendo far fronte ai costi di mantenimento. Wayne Huizenga, imprenditore partito dall’immondizia ed arrivato agli hotel ed agli autosaloni, ed alle franchige sportive del sud della Florida, rilevò la squadra, detenendone la proprietà fino al 2009, quando a causa dell’età (72 anni) decise di passare la mano dopo una stagione da 9-7, al miliardario Stephen Ross, vendendo il 45% a colui che già ne deteneva il 50% dal febbraio precedente.

Completo questo sguardo sul background con la “dirigenza”: Shula e Mike Robbie (figlio di Joe) servirono da “capi” delle operazioni per tutto il primo ventennio dell’era-Shula, fino alla morte di Robbie senior. Eddie Jones, general manager e presidente dei Dolphins dal 1990 al 2005, segna la fine dell’epoca pionieristica, se vogliamo quasi a conduzione famigliare, della franchigia, in un mondo come quello della NFL che ha avuto una crescita vertiginosa negli ultimi due decenni, sia per costi/ricavi, sia per complessità della propria macchina.

Come si può notare, Miami ha vissuto, nel breve volgere di un quinquennio tra il 1995 ed il 1999, una serie di “lutti” a livello sportivo, che ha completamente azzerato l’orizzonte per anni famigliare.

 

La Superiorità

Brady e Belichick

I Miami Dolphins furono inseriti nella AFC East, all’epoca Eastern Division della AFL, nel 1966, e fino al 1994 la squadra vinse 12 titoli divisionali, contro i due dei Jets, i due dei Patriots, i cinque dei Colts (quando ancora erano a Baltimore) ed i sette dei Bills, di cui cinque negli ultimi sette anni del periodo, grazie alla formidabile compagine quidata da Jim Kelly.
Dopo questa fase, ad oggi, i Dolphins hanno vinto due titoli divisionali (2000, 2008) subendo enormemente la crescita della “stella” dei New Englad Patriots, vincitori di 14 titoli e di quattro Super Bowl in sei apparizioni. La dominatrice e la dominata si sono di fatto scambiati la posizione, ma non solo in termini di risultati. New England ha specularmente rappresentato le certezze perse da Miami: Bill Belichick guida brillantemente la franchigia dal 2000, ed in cabina di regia dal 2001 c’è Tom Brady.
Lecito quindi che i tifosi dei Dolphins negli ultimi anni abbiano maturato un senso di smarrimento e di rabbia, e che non abbiano comunque perso quello smalto di superiorità che distingue i fan di una squadra che ha fatto la storia di questo sport.
Tuttavia questo smalto è messo quotidianamente a dura prova dai risultati sportivi della franchigia.

Eppure, ad inizio del nuovo millennio, i Dolphins si erano reinseriti tra le contender grazie a Dave Wannstedt assunto da Chicago prima come Defensive coordinator, ma proposso allenatore nel 2000, quando giunse alla vittoria divisionale ma perse contro Oakland nel Divisional. Dietro il centro c’era Jay Fiedler, un undrafted free agent che aveva provato a Philadelphia, Minnesota e Jacksonville prima di giungere a Miami e “rubare il posto” a Damon Huard, che era stato backup di Marino . Fiedler e Wannstedt furono i protagonisti di tre stagioni da oltre dieci vittorie e di due qualificazioni ai playoff, ma a quell’epoca la squadra non era propriamente improntata sull’attacco su passaggio, quanto su una difesa ricca di nomi illustri ed in un secondo momento su un runningback come Ricky Williams, poi ritiratosi, non senza aver avuto problemi con la marijuana, per, come disse in seguito “La mancanza di un QB in grado di ridimensionare un po’ il mio lavoro e che ci desse la possibilità di essere realmente competitivi”; con Wannstedt infatti il 34 doveva portare palla un minimo di 30 volte a partita.
Tuttavia nel 2004 la luna di miele con coach e quarterback finì con una stagione terrificante (4-12) anche a causa del ritiro di Williams. Wannstedt rassegnò le dimissioni nella bye week con un record di 1-8 lasciando il posto a Jim Bates, che diventò il terzo coach in un quinquennio.

 

Il calvario

Culpepper, probabilmente una delle peggiori operazioni di mercato degli ultimi vent’anni di NFL

E’ iniziato qui il calvario di HC a Miami, che nel breve volgere di dodici anni, ha portato sulla sideline dei cetacei, ben otto coach, di cui tre ad interim.
Due coach dalla fondazione al 1995. Nove coach nei successivi 19 anni.
L’arrivo di Nick Saban nel natale del 2004, dopo le gloriose stagioni di college a Louisiana State, segnò un biennio da dimenticare non tanto per la prima stagione, gettata alle ortiche per una partenza 3-7 che vanificò l’ultima parte favorevolissima, quanto per la stagione 2005: il front office durante la offseason, ebbe per le mani Drew Brees, appena rilasciato dai San Diego Chargers a causa dell’infortunio alla spalla, ma lo staff scelse Daunte Culpepper, anch’esso in recupero da un infortunio, al ginocchio.
Culpepper, ex #11 assoluta al Draft, ovviamente all’epoca era il più appetibile dei due quarterback a spasso, uscendo da una stagione eccellente come il 2004, i Vikings parevano non soddisfatti dalla sua riabilitazione fatta proprio in Florida, ma il quarterback a sua volta si dimostrava recalcitrante a tornare a Minneapolis, finì che il prodotto di Central Florida andò a Miami in cambio di una seconda scelta, non riuscendo mai a ristabilirsi del tutto ed i Dolphins, che avevano accarezzato il sogno di avere un franchise-QB di 28 anni, dopo un breve tratto positivo terminato con la vittoria 21-0 contro New England, si ritrovarono con 3rd string QB in campo, Cleo Lemon, undrafted da Arkansas State giunto da San Diego ad ottobre per tamponare la situazione creata dalla mancanza di Culpepper e dalle difficoltà di Joey Harrington. Costo della stagione: tre pick al draft, il quarterback A.J. Feeley. Risultato: un pugno di mosche e la “fuga” di Saban verso mamma Alabama, appena dopo l’ultima gara di stagione, la sconfitta contro Indianapolis.
Il naufragio del progetto che comprendeva probabilmente il miglior coach della NCAA e teoricamente il miglior quarterback free agent in circolazione, fu ovviamente frustrante. Saban più tardi dichiarò che Brees era la prima scelta di Miami, ma fallì i test fisici e Culpepper ebbe il posto. Brees viceversa ha dichiarato e scritto che Miami cercava lo “sconto” sul contratto, a causa dei suoi problemi fisici e lui quindi scelse New Orleans. La questione ancora oggi pianta coltelli nelle ferite aperte dei tifosi, che nel 2007 si trovarono a ricominciare daccapo.
Per questo compito, fu chiamato Malcolm Cameron, offensive coordinator di San Diego. I maligni potrebbero dire che dai Chargers, Miami prese chiunque tranne che quello che doveva prendere (Brees). il 2007 verrà ricordato probabilmente per sempre come la peggior stagione della storia della franchigia, che chiuse 1-15, vincendo un’unica gara all’overtime contro Baltimore. Jeff Ireland, appena assunto come general manager, a fine stagione licenziò buona parte dello staff, ed assieme al direttore operativo Bill Parcells, assunse l’assistant HC di Dallas, Tony Sparano.
La dirigenza fece una nuova scommessa per la posizione di quarterback, inserendosi lateralmente nel tiraemolla Favre-Packers: il vecchio Brett, che ingolosiva le franchige più in pena nella posizione, fu assunto dai New York Jets, mentre Chad Pennington, lasciato a piedi dalla grande mela, fu prontamente messo sotto contratto da Miami.

Pennington ed il rimpianto di non averlo avuto sano

Pennington, un altro ex #1 round (pick #18), fu eccellente, Sparano lo fu altrettanto, costruendo una stagione da incorniciare, un turnaround da 1-15 a 11-5 che pareggiò il record di lega. Sparano sfiorò il Coach of The Year, Miami ruppe l’egemonia di New England nella AFC East.
Quello che sembrava essere l’inizio di una nuova luna di miele, finì molto in fretta.
Pennington si infortunò alla spalla già bi-operata contro i San Diego Chargers e la sua stagione finì, Chad Henne, promosso da 3rd string QB a titolare, lanciò 12 TD e 14 INT e la stagione finì 7-9. Tyler Thigpen, tradato in fretta e furia da Kansas City, passò la stagione con birra e patatine a guardare le gare come terzo QB in depth.
Miami credette nel recupero di Pennington e gli fece una proposta di allungamento del contratto, Henne nel frattempo rimase il titolare. Pennington tornò starter contro Tennessee il 14 novembre, ma la sua partita durò una giocata, quella in cui fu placcato dal defensive end Justin Babin, che lo lasciò di nuovo con una spalla infortunata. Henne migliorò leggermente la percentuale di completi, ma i 19 intercetti a fronte di 15 TD furono fatali ad una squadra che si trovava già nella metà bassa dei ranking dell’attacco, ed una difesa comunque tosta non riuscì a coprire tutte le carenze del sistema. Ross pare fosse già in giro a fine 2010 alla ricerca di un nuovo allenatore, ma Sparano ebbe una nuova possibilità, andata male, e fu licenziato dopo Week #14 sul parziale di 4-9. L’infortunio del quarterback bene o male starter, Henne, lasciò spazio a Matt Moore, un ragazzo undrafted da Oregon State che aveva trovato spazio a Carolina sul finire del 2009 dando spettacolo ma trovandosi in grande difficoltà l’anno successivo. Moore fu onesto e la squadra venne condotta dall’interim Coach Todd Bowles, per poi assumere Joe Philbin, offensive coordinator dei Packers campioni del mondo.

John Beck, una seconda scelta per questa meteora

I tanti cambi di “vedute” causati dal cambio guida, hanno portato giocoforza a tanti cambi di quarterback. Dalle origini al pensionamento di Dan Marino, 34 anni, gli starter designati hanno giocato 436 gare su 518, oltre l’84% dei match. Da allora all’arrivo di Tannehill per un totale di tredici anni, si sono alternati come starter ben sedici ragazzi, ed i nove starter di inizio anno sono stati schierati effettivamente starter per il 77% delle gare (148 su 192).
Contestualmente, senza contare gli undrafted, Miami ha draftato cinque quarterback, spendendo ben quattro pregiate pick a riguardo:

  • nel 2001 Josh Heupel da Oklahoma al sesto giro, mai sceso in campo
  • nel 2007 John Beck da BYU al secondo giro, quattro gare nel 2007, rilasciato ad aprile 2009
  • nel 2008 Chad Henne da Michigan al secondo giro, 31 start di cui 27 nei due anni di infortunio di Pennington, non rifirmato a febbraio 2011
  • nel 2009 Pat White da West Virginia al secondo giro, utilizzato in situazioni di wildcat formation, non tornò più in campo dopo un helmet-to-helmet nella gara contro gli Steelers, fu rilasciato prima della stagione 2010
  • nel 2012 Ryan Tannehill da Texas A&M al primo giro, pick #8, attuale starting QB.

Quattro giocatori scelti nei primi due giorni di draft hanno prodotto uno starter “obbligato” come Henne, in attesa (vana) di Pennington, ed uno tutto sommato solido ma comunque continuamente messo in discussione.
Tuttavia Moore si è accomodato in panchina, ed il ragazzone di Texas A&M ha preso il comando agli ordini di Joe Philbin, il “duo” ha prodotto una stagione negativa (7-9) e due 8-8, la squadra ha migliorato e di molto la fase difensiva ed offensiva nel 2014 rispetto all’anno precedente, e gli acquisti di offseason 2015 facevano ben sperare, invece la storia di ripete. Ora è il momento di un nuovo Dan (Campbell) in attesa del nuovo Don, e non è detto che questo duro ex TE non riesca a guadagnarsi una riconferma, per dare un po’ di serenità nel mare agitato della Florida.

 

(Un sentito ringraziamento per la realizzazione del pezzo a Ricky71 ed al PhinsDuo per lo scambio di pareri, gli spunti e la revisione!)